
L’associazione #Aniridia Italiana APS apprende oggi la notizia di un intervento raro, tanto per la casistica, quanto per la dinamica, avvenuto presso l’ospedale Le Molinette di Torino.
Dai numerosi articoli pubblicati sulle più importanti testate giornalistiche italiane, ció su cui l’associazione chiede a tutti di riflettere attentamente è la modalità scientifico-comunicativa della divulgazione della stessa.
Fin dal titolo: “Nuovi occhi, nuova vita”, infatti, appare quasi come se non ci possa essere futuro o soddisfazione personale senza una cura chirurgica per l’aniridia e questo non corrisponde in alcun modo al vero.
Ebbene, vorremmo ricordare a tutti che a oggi, 9 marzo 2025, una cura scientificamente approvata a livello globale o locale per questa malattia non esiste.
Al di là del caso specifico in cui, data l’eccellenza dell’ospedale di cui si tratta, è sicuramente stato valutato opportunamente il rapporto rischi/benefici, l’associazione Aniridia Italiana APS, che dal 2005 si occupa di tutto ció che riguarda questa malattia e le sindromi ad essa collegate e ha promosso e organizzato conferenze scientifiche di livello internazionale, vuole ricordare tanto agli specialisti, quanto ai pazienti e alle loro famiglie che l’opzione chirurgica è una scelta strettamente personale per l’individuo che la compie, che deve risultare da un’indicazione medico-scientifica da riferirsi specificatamente ad ogni singolo caso in tutto e per tutto, sempre tenendo in considerazione che anche nella stessa persona ogni occhio ha una conformazione a se stante, a causa della mutazione genetica, e quindi potrebbe avere ripercussioni e conseguenze completamente diverse. Una differenza da persona a persona e da occhio a occhio che ancora oggi a livello scientifico non consente né una standardizzazione del trattamento, né una capacità previsionale realisticamente concreta e oggettivamente interpretabile. Questo ancora oggi porta la maggior parte della comunità scientifica internazionale e nazionale a sconsigliare di intervenire in maniera chirurgicamente invasiva su un occhio con aniridia, a meno che la situazione non sia così grave da tentare il tutto per tutto con un ultimo approccio più consistente, ma anche in quel caso sono molteplici e singolarissimi i vari aspetti e scenari da considerare.
Pertanto, Aniridia Italiana, invita i lettori, i medici e i pazienti, ma anche chiunque voglia interessarsi davvero di questa malattia a confrontarsi, in modo da poter intraprendere un percorso appropriato al singolo caso e realmente protettivo nei confronti di tutta la popolazione affetta da questa malattia genetica rara e spesso degenerativa dell’occhio.
Inoltre, vorremmo osservare anche che, proprio per le caratteristiche di malformazione genetica della patologia, la fotofobia, dovuta all’assenza totale o parziale dell’iride, è solo uno dei tanti sintomi che impatta l’occhio con Aniridia, ma di sicuro non è l’unico o il più grave e porre l’accento, in maniera evidente, sul cambio colore degli occhi costituisce una banalizzazione della questione, offrendo una prospettiva psicologicamente fragile e in contrasto con un approccio di accettazione intelligente che da anni invece l’associazione propone proprio come base per superare le barriere culturali e sociali che spesso impattano sulle persone disabili affette da malformazioni fisiche dovute alla propria malattia.
Se avete domande o volete saperne di più, scrivete a aniridia.italiana@gmail.com o visitate il sito aniridia.it
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